top of page

                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Analizzando, per cominciare, la scelta della pavana nel contesto della produzione inglese coeva, due punti mi sembrano salienti da evidenziare. È chiaro che, in primo luogo, già all’inizio del XVII secolo la suite costituisce un genere strumentale indipendente dalla pratica del balletto, anche se di questo conserva lo schema formale di danza tripartita articolata in frasi musicali della lunghezza di quattro misure. Inoltre, la pavana, nella sua nuova realtà di genere strumentale, si caratterizza, per il suo incedere tardo e lento, come il momento espressivo della suite. Affetti ed effetti contaminano l’andamento sobrio delle sue linee melodiche e aprono la strada alle sperimentazioni più spregiudicate dei compositori inglesi seicenteschi.  In questo quadro, appare subito evidente come la scelta della pavana dovette sembrare la più logica a un Dowland desideroso di creare un ciclo strumentale sul dolore.

 

Il linguaggio musicale che impiega il nostro è quanto mai articolato. Le Lachrimae sono composte in quello che per definizione possiamo considerare il modo della Melanconia: il modo frigio. Queste nascono tutte dalle trasformazioni di un analogo incipit melodico. Ogni pavana è divisa in tre parti: la prima e la terza parte terminano su di un "accordo" di la minore, la seconda, invece, in mi maggiore. Al tema che funge da filo conduttore dell’intero ciclo delle Lachrimae, fa eco una chiusa di frase che viene a concludere ogni singola composizione sempre affidata al liuto. In pratica, tutti gli elementi che Dowland riunisce ritornano ossessivamente. Ritorna il tema 7 volte, ritornano le conclusioni al liuto e le armonie 21 volte e non dimentichiamo che al termine di ogni sezione troviamo ancora il segno del ritornello. In pratica, il dolore di cui Dowland ci vuol parlare, è un dolore prigioniero di un circolo vizioso di elementi che lo riconducono ogni volta alla sua origine, e come un’idea ossessiva che ad ogni suo ritorno si arricchisce di sfumature e complicazioini sempre nuove, così nei ritorni di Dowland, il materiale sonoro subisce infinite ma minime metamorfosi. Il dolore è ancorato nel profondo della coscenza e dal profondo la agita. La supremazia delle due voci di cantus viene sempre più turbata dall’attività incalzante delle tre voci più gravi. Nel loro sviluppo,  le Lachrimae si caricano sempre più degli attributi di una gravitas fatale e il perpetuo riapparire degli elementi sopra descritti ci conduce a l termine della composizione ad una lunghissima sospensione armonica. Qui il tessuto musicale sembra dissolversi, annientarsi, impaludarsi e ridursi ad una muta immobilità. Parla il silenzio dell’ impotenza umana nell’esperienza dolorosa.

 

All’anima nera della melanconia di Dowland, abbiamo voluto affiancare una serie di brani di quello Stile Fantastico che entusiasma i compositori italiani del primo '600.

 

Lo Stile fantastico privilegia le forme musicali legate alla creazione estemporanea e all’improvvisazione, quali il preludio e la toccata, o il ricercare e la fantasia, quegli stili, cioè, sciolti da ogni coercizione strutturale.

 

La scrittura musicale fantastica matura all’interno della crisi del sistema modale. I compositori del tardo Rinascimento che già con il madrigale obbliga ad una acuta riflessione sugli equilibri tra parola e musica. La supremazia del testo, la creazione di figurae e moduli che potessero rappresentarlo nella sua complessità, costringe gli autori a rivedere almeno parzialmente la pratica stessa della composizione. Modulazioni e instabilità armonica costituiscono le basi musicali di questa nuova tendenza. Con il madrigale, possiamo affermare che cedeno gli argini in cui la modalità e contrappunto ordinario canalizzavano il flusso delle idee musicali.

 

Lo Stile Fantastico prenda le mosse dalla nuova grammatica musicale madrigalistica. Il suo arsenale espressivo dispone di armi quali la commixtio modi - la coabitazione, cioè, nella stessa frase musicale delle corde di toni diversi - la deviazione in clausole estranee al modo, le cadenze evitate, i cromatismi, le false relazioni e incursioni in regioni inattese dell’armonia.

 

Nello Stile Fantastico il senso dell'erranza e dell’esplorazione evoca le visioni irreali, le mirabilia, rappresentate nell'iconografia cinquecentesca, ma, nel nostro caso, si tratta di un volo a cavallo dell’ippogrifo dell’Harmonia.

 

 

Roberto Festa

 

 

 

Sulla Malinconia

Malinconia: bile nera, termine derivante dal greco melankholia ; de melas -anos, nero, e kholê, bile.

Propriamente, nel sistema che ha dominato la storia della filosofia della medicina dalla bassa antichità fino al XIX secolo, la malinconia è, innanzi tutto, un umore, una sostanza attiva, cioè, dalle proprietà ben definite che corrisponde nell’universo dei temperamenti a ciò che nella fisica dei quattro elementi rappresenta la Terra.

 

Il termine malinconia designa uno dei quattro temperamenti (nella tradizione della medicina greca, i temperamenti umani sono compresi in 4 categorie distinte: collerico, sanguigno, flegmatico e malinconico), termine che nel corso dei secoli nutre volontariamente una confusione feconda tra musica, teoria delle passioni e composizione musicale. Mischiata in quantità variabili al sangue, al flegma e alla bile gialla, la malinconia concorre alla determinazione del carattere di ogni essere vivente.

 

La fisica immagina il carattere come un concorso d’elementi antagonisti dal punto di vista delle loro qualità. Il sangue è caldo e umido, la bile gialla calda e secca, il flegma freddo e umido, la bile nera fredda e secca. Gli umori operano come potenze rivali: quando sono confrontate all’azione di una sostanza antagonista, agiscono con moderazione, preservando salute ed equilibrio psichico: ma più sono pure, più agiscono con efficacia. Se, mischiando in proporzioni eguali (isonomia) le qualità dell’umido e del secco, del freddo e del caldo,  dell’amaro e del dolce preserviamo la salute, la preponderanza di una qualità sulle altre produce una modulazione temporanea dell’equilibrio psichico e somatico, causa malattie e, talvolta, stati psichici esorbitanti ed estremi. La collera va interpretata allora come l’espressione somatica di un eccesso di bile gialla, e la depressione, la conseguenza di un’escrescenza di bile nera.

 

Nella loro genesi, passioni e caratteri seguono un modello logico classico, che la teoria musicale condivide fin dall’origine del tempo con la medicina e la fisica degli elementi: il dialogo tra il SE e l’ALTRO, ovvero il conflitto tra ordine e disordine. Il SE assimila, concilia e ricongiunge le energie contrarie verso la consonanza: ha il potere di temperare le energie, rendendole identiche le une alle altre, di confonderle e far scomparire le loro differenze. Se la sua azione non fosse bilanciata dal principio del disordine, ogni individuo si assomiglierebbe come due gocce d’acqua e la vita dello spirito si ridurrebbe ad una tediosa ed insopportabile apatia dell’anima. Nemico di ogni limite, l’ALTRO lusinga la particolarità irriducibile delle parti; le differenzia e le icoraggia ad emanciparsi dal sistema. Al tempo stesso, però, l’ALTRO isola e rinchiude ogni specie nella propria differenza, ostinandosi a preservare ciò che ogni realtà è. Nell’universo sonoro, l’ALTRO genera la dissonaza opponendo conflittualmente gli estremi degli intervalli, in quello del temperamento eccessi ed escrescenze che ci inducono a passioni e stati d’animo opposti.

 

Se gli stati d’animo prodotti da un umore costituiscono un’anomalia traducibile in termini di “dissonanza”, le alterazioni riconducibili alla malinconia suppongono una doppia dissonanza. Mentre gli altri umori comportano un equilibrio costante tra il secco e l'umido, l’humor nero è una sostanza attiva particolarmente istabile dal punto di vista dinamico, che la tradizione compara tanto all’acquavite, che al vino o al ferro. La malinconia esala gas particolarmente sottili, mobili ed infiammabili, anologhi ai vapori dell’alcool. Quando questi bruciano, si accumulano nel cervello ed infiammano l’immaginazione moltiplicando le attività dell’intelletto, e producono uno stato di delirio temporale accompagnato dai comportamenti più varii che rendono l’uomo furioso o apatico, esaltato o pigro, temerario, stupido o geniale. Ciononostante, l’ardore è effimero: una volta consumatasi nel fuoco, la malinconia raffredda, conducendo la fantasia all’abbattimento più totale (Katatonia). Dovutamente temperate dal sangue e dal catarro, la malinconia assomiglia al ferro incandescente che conserva a lungo il calore, assicurando all’artista una durevole concentrazione nella creazione sulla spinta dell’entusiasmo che in lui alimenta.

 

All’autore del Problema XXX - testo attribuito ad Aristotele, fondatore di questa tradizione – la qualità estrema di quest’umore permette di giustificare la ripartizione ineguale del dono dell’intelligenza tra gli uomini. Questo testo si apre con una questione essenziale per la comprensione dell’estetica delle arti nei secoli che lo seguiranno: “Perchè tutti gli uomini eccellenti nella filosofia, nella politica, nella poesia e nelle arti furono manifestamente malinconici?”

 

Verso la fine del XV secolo, dopo un periodo di relativo torpore intellettuale, la tesi che affermava che ogni forma di genio si accompagna ineluttabilmente ad un disequilibrio mentale, otterrà una risonanza tutta nuova grazie agli scritti di colui che P.O. Kristeller ha definito come “il filosofo più rappresentativo del Rinascimento: Marsilio Ficino. Ficino impose, infatti, ai circoli accademici del suo tempo una nozione decisiva per la teoria delle arti: l’ispirazione. All’artista che procede con gli strumenti della conoscienza e dello studio, le accademie oppongono lo spirito divino, dotato e depressivo di un artista che crea in uno stato di grazia – l’intelletto agitato e infiammato da un’energia interna e segreta – che definiscono Furore.

 

Al tempo stesso Ficino riannoda i legami con le dottrine antiche sul valore terapeutico della musica nel trattamento della depressione. Nemica della mediocrità, la malinconia è ancora, quindi, una dissonanza dell’anima, luogo questo presidiato e diviso  da stati d’animo incociliabili tra loro. L’atrabile cresce e si diffonde nel dispezzo assoluto del giusto-mezzo, e solo nell’harmonia, che accorda e tempera, trova il suo più potente antidoto.

 

Musicista autodidatta istruito direttamente dal Cielo, Ficino è anche uno dei primi autori della modernità che cerca di ritrovare il potere leggendario della musica greca di modulare ad libitum gli stati d’animo. Nel suo De vita triplici – opera consacrata alla maniera di preservare la salute mentale degl’uomini di lettere – scale ed intervalli per la loro azione psicotropa, gareggiano con rimedi magici, simpatici ed astrologici. La parola Malinconia assume così un terzo significato, designando, quando i movimenti della fantasia turbata s’incarnano nello scheletro della composizione musicale, una delle qualità affettive che la psicologia del Rinascimento attribuisce agli elementi della grammatica musicale. Neoplatonica o laica, questa psicologia è chiaramente formulata: il temperamento parla. Come l’imaginatio di una madre può dar vita ad un embrione con la sola forza del pensiero, così l’artista concepisce un’immagine astratta del contrappunto, che migra nella melodia, veicolando l’anima del cantante e dello strumentista nella fantasia di chi ascolta. Incarnatosi nella materia, l’affetto diviene allora un valore psichico tangibile, quantificabile, che circonda come una pelle sottile, l’anima stessa della composizione musicale.

 

Fedele all’etimologia della parola melodia – la parola mélos in Greco designa al tempo stesso le note e le membra anatomiche – Ficino concepisce il contrappunto come un essere vivente aeriforme, animato, autonomo ed indipendente, che, come una sorta di omuncolo, è dotato di ogni facoltà umana, dalla respirazione al carattere.

Il contrappunto e l’Harmonia sono il risultato del mélange dei quattro elementi in proporzioni variabili: schematicamente possiamo individuare le seguenti corrispondenze:

 

 

Tessiture

Élémenti

Humori

Temperamenti

 

 

 

 

Soprano

Fuoco

Bile gialla

Collerico

Alto

Aria

Sangue

Sanguigno

Tenore

Acqua

Flegma

Flegmatico

Basso

Terra

Bile nera

Malinconico

 

 

Si tratta di una tesi difesa e sostenuta dalla caratterologia antica, che vede nel collerico colui che alza il tono della voce e nel malinconico colui che parla gravemente. Il Rinascimento, così, non esiterà ad attribuire un carattere depressivo ai modi posti nel registro più grave. Analogo ragionamento per i movimenti causati dai diesis – che trasportano la melodia verso l’acuto – e dai bemolle che la costringono verso il grave.

 

L’inchiostro nero della musica è dunque la dissonanza in tutte le sue forme, episodiche o strutturali. Nel suo De Vita, Ficino cerca di fissare matematicamente le proporzioni umorali del temperamento malinconico. Ciò permetterà più tardi a Zarlino di affermare che il carattere lamentevole degli intervalli aumenta in funzione della complessità del rapporto numerico che li genera. In accordo con questa tesi, Padre Mersenne, nel 1636, ci dice:

 

I semitoni e i diesis rappresentano le lacrime e i gemiti  in ragione dei loro piccoli intervalli, che ci parlano della debolezza, dal momento che i piccoli intervalli, verso il grave e l’acuto, sono simili ai bambini e ai vecchi che fanno poca strada in molto tempo…

 

La musica di Saturno, astro del malessere quodammodo dissonum, si compiace nell’incommensurabile, nella dicotomia e nelle tensioni irrisolte delle energie incompatibili. Quando nasce il Madrigale espressionista (il madrigale della seconda prattica, nata sulla spinta di Cipriano de Rore), l’atrabile prenderà forma nel contrappunto dando vita a strutture modali orribili e deformi, simili ai mostri – arti senza volto - generati nella fantasia di Empedocle nel reame dell’Odio: o ancora, come ci dirà il Tasso, poeta atrabiliare e divino, a corpi dalle membra dissonanti, come le Chimere o l’Hydra dalle mille teste.

 

 

 

Brenno Boccadoro

traduzione: Roberto Festa

THE ANATOMY OF MELANCHOLY

 

Nel 1604, con il titolo Lachrimae, or seaven teares figured in seaven passionate pauans... set for the Lute, Viols, or Violons By Iohn Dowland, appare a Londra una delle pagine più suggestive della letteratura musicale malinconica inglese. Le sette pavane che Dowland presenta, costituiscono, come egli stesso dichiara nel frontespizio dell’edizione, una lunga meditazione sul dolore.

 

Gli elementi musicali che Dowland fonde nel ciclo delle Lachrimae sono molteplici ed estremamente funzionali all’idea che il nostro è deciso a rappresentare.

bottom of page