A LA MORESCA
Moresche e Mascherate del Rinascimento
DIAPASON
Opere di Barbetta, Da Nola, Banchieri, Cambio, Falconieri, Lassus e anonimi.
Daedalus, Roberto Festa.
L’Autre Monde. Q 2016. TT: 1 h 05’. TECHNIQUE :4/5
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Per festeggiare i suoi trenta anni, l’Ensemble Daedalus ci offre un oggetto tra i più singolari. In un vasto racconto autobiografico, Roberto Festa narra, con parole semplici e toccanti, la sua «Storia di treni e di mare». La musica lancinante, ora commuovente, ora festiva, sembra prolungare questa sua confessione.
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Uno stupefacente bouquet di moresche che rivela e illustra a perfezione il percorso di Daedalus: quello di musicisti avventurieri, partiti per esplorare terre ingiustamente abbandonate, dimenticate ai margini della storia. Daedalus ha resuscitato una folla di autori anonimi e destinati al silenzio dell’oblio, forme musicali «minori», spesso neglette dagli occhi di una modernità che non ci vedeva che bagatelle: Roberto Festa ha saputo vederci tesori insospettabili, sensibile alla loro bellezza discreta e stravolgente.
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Daedalus non poteva offrirci un regalo di compleanno più bello di questa antologia di composizioni carnascialesche del Rinascimento italiano. Il CD ci fa scoprire come le moresche, queste danze guerriere all’origine inspirate dai conflitti con i Saraceni, a Napoli, si sono metamorfosizzate in soavi canzoni d’amore.
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Tutto nel CD trasuda fascino e intelligenza: dall’orologio-metafofora del cuor infranto dell’amante in St’amaro core mio, alle sonorità contrastate della cornacchia nel gelo dell’inverno, allegoria delle parole di un amante perfido, in Tu sai che la cornacchia.
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Roberto Festa ha un’innegabile capacità di coniugare i talenti di musicisti provenienti dagli orizzonti più diversi : dal settentrione (la soprano Monika Mauch, il liutista Hugh Sandilands) al Mediterraneo (la Catalogna dei due Josep - Benet e Cabré - l’Italia degli altri cantanti e della maggioranza degli strumentisti).
E, soprattutto, che gioia ritrovare Marco Beasley nel suo repertoro più congeniale, lontano dal sentimentalismo sdolcinato e commerciale dove si era perso. Il suo timbro di «ténor de charme» rifiorisce nelle semplici canzoni napoletane che ci canta. Senza artifici, ritorna a commuoverci e colpirci in pieno cuore. Il suo stupefacente Vorria ca fosse ciaola, piccola villotta anonima, così semplice e pertanto così profonda, riassume da sola tutta l’arte di Daedalus.
Buon compleanno e che Daedalus viva felice !
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Denis Morrier, Diapason Febbraio 2017
WUNDERKAMMERN
Compagni d’allegrezza. A la Moresca par Daedalus
http://wunderkammern.fr/2017/02/26/compagni-dallegrezza-a-la-moresca-par-daedalus/
C’è qualcosa di profondamente rasserenante nel costatare che, in un’epoca che ha fatto della velocità il suo assioma senza rendersi conto che l’amnesia ne é sovente il suo solo corollario, certe esperienze artistiche possano iscriversi nella durata e trovare gli appigli necessari per lasciare una traccia materiale del cammino percorso.
Esattamente come il suo predecessore dedicato a Marie Leonhardt, il secondo CD pubblicato da l’Autre Monde, con una cura editoriale che è bene salutare, posa su una virtù a torto oggi sdegnata, la fedeltà ; accoglie con la stessa calororsa attenzione un vecchio compagno che le vicissitudini d’un mercato che ha decretato che la musica del Rinascimento non interessi il pubblico avevano più o meno costretto al silenzio, Daedalus. Ancora prima di inserire il disco argentato nel lettore CD, bisogna assolutamente immergersi nel testo del libretto nel quale il direttore dell’ensemble, Roberto Festa, evoca con sensibilità, truculenza e poesia il suo percorso di musicista ; non vi darà alcuna delucidazione sul programma che vi preparate ad ascoltare (le pagine che seguono lo faranno), ma vi permetterà senza alcun dubbio dei ascoltarlo meglio.
Il filo conduttore della storia (d’amore) che ci viene raccontata in cinque scene, prologo ed epilogo, è una danza, la moresca. La « Bella Spagnola » fa mistero delle sue origini, ma entra in scena alla metà del XII secolo allorquando la penisola iberica vive sotto la dominazione araba ; il suo nome è il segno stesso della storia e ne indossa il volto oscuro, quello dell’occupante e più tardi, per estensione, quello della demoniaca paura della diversità. Tre secoli dopo, la moresca giunge in Italia e conosce una fortuna comparabile solo a quella dell’autoctona frottola. Come lei, pure di origine popolare, saprà conquistare i circoli più raffinati. Il fatto che l’Orfeo di Monteverdi (1607) si concluda con una moresca offre un esempio eclatante della sua diffusione anche nelle corti più fastose. Il carattere grottesco, agitato, ma egualmente ambiguo di questa danza che si praticava armati di bastoni in ricordo del carattere guerriero che il contesto della sua evoluzione le nega, la destinava naturalmente a quello sfrenato periodo dell’anno che è il Carnevale, come lo illustra con verve ed energia l’estratto del celebre Festino nella sera del giovedi grasso di Adriano Banchieri proposto nel prologo del CD.
Che la moresca si sia sentita a casa a Napoli non ha niente di sorprendente dal momento che la città è legata alla corona di Spagna fin da quando Alfonso d’Aragona ne scacciò gli angioini nel 1442. Opera qui una muta necessaria e perde la sua natura coreografica per prendere la forma del trio vocale già presente nella villanella, genere pastorale affermato e alla moda nel Sud d’Italia. Questa moltiplicazione delle voci porta e comporta nuove esigenze espressive e un aumento della teatralità, processo che si iscrive nell’evoluzione in atto nella Penisola. Scartabellando tra diverse antologie pubblicate tra il 1535 e il 1616, le cinque scene proposte dipingono la relazione tra una moresca « nera, ma bella » (Yo me soy la morenica, Chansonnier d’Uppsala) i cui incantamenti affollano l’orologio sgangherato del cuore anelante dell’amante (St’ amaro core mio è diventato, Giovanni da Nola) preda questo, ora, della sua gelosa impazienza (Deh ! La morte de maritet’ aspett’io, Perissone Cambio), ora, della disperazione (Tu sai che la cornacchia), prima si essere rasicurato sui suoi sentimenti (Mi fai morire quando che tu mi fai la scorucciato). L’intervento di mani esperte, come quelle di Roland de Lassus, conferisce al genere una più ampia espressività fatta di imitazioni, onomatopée e liolele (fa, la, la, la), senza dimenticare una vasta gamma di maliziosi sottintesi. La gioiosa burrasca scatenata da Daedalus si chiude, però, su una nota più ombrosa e, nel racconto del destino incerto degli amanti si può leggere, ad un tempo, la natura ambigua di
una danza che sarà bene dimenticare non appena terminato il baccano della festa ; una volta disperse le ceneri del Carnevale, salirà sul podio il diguino silenzioso della Quaresima.
Quando ebbi la fortuna di ascoltare A la Moresca la sera di chiusura del Festival si Arques la Bataille (2015), fui colpito dal sentimento di nostalgia diffusa e pertanto tenace che si insinuava dirompente dalla musica. La registrazione del CD, realizzata l’indomani e i giorni che seguirono, ha saputo catturare queste sfumature di colore esacerbate negli ultimi brani del disco, un CD che riesce a raggiungere una profondità d’emozioni assai inabituale in questo tipo di produzioni. Intendiamoci, questo disco non ha niente di malinconico, al contrario : tutto si incatena senza tempi morti, sospinto dall’energia, dal brio e dalla complicità di musicisti avvezzi a lavorare insieme e perfettamente consci delle esigenze di un repertorio che ci restituiscono con una maestria e una naturalezza sconvolgenti, dosando finemente gli effetti della teatralità, qui onnipresente, senza mai trascendere nell’esagerazione, nell’eccessivo. Molto caratterizzate le voci e corpose, ben posate con la preoccupazione costante dell’espressione della parola e dell’eloquenza, la loro fusione è eccellente, anche con gli strumenti. Questi ultimi offrono una prestazione vigorosa e fantasiosa, senza niente cedere alla disciplina e pertanto regalando momenti di profonda dolcezza. Se il direttore di Daedalus si rifiuta per natura di esporsi sul proscenio, si percepisce quanto questa antologia debba a Roberto Festa tanto in termini di pertinenza nella scelta dei brani proposti, quanto alla coerenza drammatica ed estetica del progetto ; altri avrebbero senza dubbio sviluppato un tale programma a cavallo di una superficialità più o meno malcelata ; qui tutto è pensato e controllato con un’indiscutibile intelligenza che stimola la libertà creativa e favorisce l’espressione di un caloroso cameratismo che si traduce in un’atmosfera di fiducia e ascolto restituita finemente nel suono cesellato da Jean-Marc Laisné.
Immersione festiva nell’universo della Napoli turbolenta e sognante del Rinascimento, questo saporito disco di Daedalus va ben oltre l’evocazione delle metamorfosi della moresca. Offre una testimonianza emozionante del lavoro di un gruppo che, pur restando d’una rara fedeltà ai principi che lo governano e ai musicisti che lo costituiscono, non ha mai cessato di rinventare e rinnovare la visione della musica dell’era umanista, di un compagno d’allegria che non finirà mai di interrogarci e lusingarci.
26 febbraio 2017, Jean-Christophe Pucek