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ROLAND DE LASSUS, ORACULA

 Je ne serai plus si couillon,

car on ne gagne rien à jeter l’eau en la mer,

le contraire au doux est amer,

mais je veux toujours aimer.

 (Lassus au duc Guillame de Bavière, 8 oct. 1576)

 

 

 

Il linguaggio della rivelazione profetica è sempre stato associato ad una particolare forma di sinestesia tra la parola e lo scritto esattamente come, nella tradizione dell'iconografia cristiana, le Sibille e i Profeti del Vecchio Testamento vengono sempre rappresentati insieme.

 

Non è dunque un caso, che le Prophetiae Sibyllarum e le Novem Lectiones Sacrae ex libris Hiob di Roland de Lassus (1530/2-1594) figurino nel manoscritto oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Vienna (ms 18744). Il codice, probabilmente realizzato dalla mano dello stesso Lassus, è inoltre decorato dalle meravigliose miniature di Hans Mielich, pittore che, come Lassus, era attivo alla corte  del duca Albrecht V di Baviera, destinatario del manoscritto. Se le Prophetiae Sibyllarum verranno pubblicate solo nel 1600 da Rudolph Lassus, figlio del compositore, le Lectiones beneficiano di una lunga revisione: la loro versione definitiva, dedicata all'arcivescovo Julius Echter von Würzburg, vede la luce nel 1582.

 

La Sibilla con bocca furente, parlando senza sorrisi, senza ornamento e senza profumi, raggiunge con la voce mille anni per virtù del Dio.

 

In questo testo di Eraclito, sono già esposti con chiarezza gli attributi della sacerdotessa d'Apollo: la Sibilla è una donna che in estasi proferisce oracula destinati all'eternità; il furore caratterizza lo stato transnaturale delle sue rivelazioni; la trascrizione dei sui oracoli l'avvicina al poeta. La Sibilla è un enigma che, dell'alba del tempo, lo percorre profetizzando per greci, ebrei e cristiani. Unica figlia o parto multiplo, stanziale o itinerante?

 

Nell'ottavo secolo prima dell'era cristiana, la si vuole non legata necessariamente né a un santuario né a un sacerdozio. La Sibilla viaggia e pronuncia le proprie profezie senza che la si interroghi, spinta alla parola dalla forza del furore.

 

Diodoro Siculo narra che il nome Sibilla deriva dal greco sibullanein, essere ispirato, e che essa si esprime solo quando è possedata dalla divinità. La logia sibillina pur essendo riportata e tradotta nei celebri Libri Sibillini è, innanzi tutto, un gesto vocale e/o canoro. Eraclito utilizza il lemma greco phtongos per definirla, parola che descrive il canto delle sirene quando, disarticolato, si trasforma in grido. L'estasi le rende voce e corpo confusi, caotici.

 

La Sibilla risiede in spazi chiusi. È la figura femminile per eccellenza: associata alla terra e alla luna, rappresenta la madre in quanto artefice e genitrice della profezie e, al tempo stesso, la vergine che possiede e rivela il messaggio divino.

 

Dei più antichi oracoli sibillini redatti nel greco dell'esametro non resta che qualche frammento trascritto e conservato nel terzo secolo prima di Cristo dagli Ebrei di Alessandria. Nell'universo  della tradizione ebraica, la Sibilla, assunti i tratti del monoteismo apocalittico, profetizza il giudizio finale. Solo nel secondo secolo dopo Cristo la Sibilla, adesso più austera e casta, si trasforma nel simbolo più arcaico della cristianità. La sua origine pagana giudaico/greca però è sempre visibile in filigrana: fino alla fine del XVI secolo, infatti, con la parola Sibilla, si designeranno streghe e fattucchiere.

 

Col passare del tempo, le Sibille si moltiplicano e, come oracoli e Pizie, si fissano in uno specifico luogo geografico. Se nella tradizione medievale sono dieci, come sostiene Lactantius nelle sue Divinae institutiones (III secolo dopo Cristo), in epoca umanista diventano dodici. Lassus nelle sue Prophetiae fa cantare i testi che Filippo Barbieri pubblica nelle Discordantiae sanctorum doctorum Hieronymi et Augustini nel 1481.

 

Tra le dodici della tradizione rinascimentale, la Sibilla Eritrea, che stabilitasi in Asia Minore predice la guerra di Troia, e la Sibilla Cumana sono certamente le più venerate.

 

Virgilio dice:

 

Sibylla dicitur omnis puella cuius pectus numen recipit

(si chiama Sibilla ogni fanciulla che accoglie la potenza divina nel suo petto)

 

e ancora:

 

La vecchia Vergine Sibilla

Profetizza il futuro, e in su le foglie

Ripone i fati: In su le foglie, dico,

Scrive ciò che prevede, e nella grotta

Distese ed ordinate, ove sian lette,

In disparte le lascia, serbando

L'ordine, e i versi, ad uopo dei mortali.

Parlan dell'avvenire, e quando aprendo

Talor la porta, il vento le confonde,

E van per l'aere a volo, ella non prende

Affanno più di ricomporle, e di accozzarle;

Onde molti delusi, e sconsigliati

Tornan sovente e mal di lei si appagano.

 (Enéide III, 443-452)

 

Dionigi di Alicarnasso, documentando una diffusa tradizione, narra di come la Sibilla Cumana, nelle sembianze questa volta di una miserabile vecchia, si presentò a Tarquinio, re di Roma, offrendogli a caro prezzo i celebri Libri Sibillini. Tarquinio rifiutò. Bruciato uno dei sei volumi offerti, la vecchia si ripresentò al re esigendo lo stesso prezzo nonostante il volume mancante. Solo alla terza visita Tarquinio si convinse, ma solo tre libri erano sopravvissuti alle fiamme della mendicante.

 

Le parole della Sibilla, come Virgilio sottolinea, sono enigmatiche. Perdono di linearità e la loro oscurità semantica si allea ad una scrittura dai toni quanto mai criptici. La Sibilla è sempre rappresentata con un libro tra le mani o un filatterio (talismano), ma è alla parola che affida i suoi vaticini. Nella struttura linguistica delle profezie  abbondano verbi di percezione uditiva all'imperativo (Udite, genti!) e i riferimenti alla voce della sacerdotessa. Il suo messaggio più che una lettura è, dunque, un ascolto e la Sibilla simbolizza l'essere umano elevato ad una condizione transnaturale che può comunicare col divino e riportarne i messaggi. È la posseduta, la divina invasata, l'eco del Dio e lo strumento delle sue rivelazioni.

 

Nella tradizione iconografica cristiana, le Sibille godranno nuova gloria col Rinascimento, l'epoca del ritorno alle fonti dell'antichità. Alla fine del medioevo la chiesa s'impossessa di questo mitico simbolo e l'associa ai dodici Profeti delle Sante Scritture. Con quest'associazione sarà possibile giustificare una sorta di cristianizzazione universale: se i profeti annunciano la buona novella ai popoli cristiani, le Sibille hanno portato la voce di Dio a quelli pagani. In questa nuova veste meno "solfurica", le Sibille possono essere rapresentate senza imbarazzo nei luoghi della cristianità, come la Cappella Sistina, dove Michelangelo le rappresenta in compagnia dei Profeti. Figurano egualmente nella biblioteca di Giulio II e negli appartamenti dei Borgia dipinte dal Pinturicchio. Sempre a Roma, Filippino Lippi le ritrae in un affresco di Santa Maria sopra Minerva, Raffaello in Santa Maria della Pace, mentre Matteo di Giovanni le immortala nei marmi del pavimento del Duomo di Siena.

 

Giobbe, in opposizione all'origine pagana delle Sibille, è un profeta canonico del Vecchio Testamento. Il testo biblico a lui consacrato è certamente uno dei più complessi ed è stato oggetto di una messe infinita di esegesi e interpretazioni - un corpus letterario oggi definito teodicee - volte a riconciliare la coesistenza del bene e del male. Giobbe appare ad un tempo come una figura della virtù e del cinismo divino. Messo alla prova da Dio e da Satana, perduto ogni bene e sopportate le più terribili malattie, Giobbe esprime collera e frustrazione nelle sue celebri Lamentationes. Dopo un litigio con tre dei suoi più cari amici, Eliphaz, Bildad e Zohar, ritrova Dio, si pente e recupera ricchezze e salute.

 

Nel Libro di Giobbe troviamo un'interessante analogia con i testi sibillini della tradizione cristiana. Vi leggiamo, infatti:

 

So io che il mio Difensore è vivo!

(libro di Giobbe 19:25)

 

Giobbe, come le Sibille, con quest'affermazione prefigura l'avvento di Cristo. Unisce le Sibille, che profetizzano vocalmente (e quindi musicalmente), a Giobbe anche una meno conosciuta tradizione che ne fa il patrono dei musicisti. Questa si basa ancora una volta su un passo della Bibbia (30:31) nel quale Giobbe sofferente si compara ad un arpista. Nel testamento del profeta, inoltre, un testo apocrifo del primo secolo a.C., il profeta narra di serate in musica in cui accompagna all'arpa canti in lode del signore.

 

Nell'iconografia medievale Giobbe appare spesso nelle vesti di un musicista o circondato da musicisti. Il Maître de la légende de Sainte-Barbe (ca. 1485) rappresenta tre musicisti che per aver consolato Giobbe dai supplizi che Satana gli ha inflitto, vengono ricompensati con le croste delle sue piaghe che si trasformano in oro.

 

Nella liturgia, le Lectiones tratte dai libri dei Profeti, vengono utilizzate per supplire l'Epistola nella messa in periodi specifici dell'anno, come l'Epifania o la Settimana Santa. Generalmente cantate per l'Ufficio dei Morti, le Lectiones sono di frequente associate agli oracoli sibillini, ma questi ultimi, in virtù della loro origine pagana, non possono essere ammessi nella liturgia.

 

Il ciclo di Lassus consacrato alle Sibille comporta un prologo (Carmina chromatico) e dodici mottetti dedicati ad ognuna delle sacerdotesse. Le profezie sono caratterizzate dallo stile declamato della metrica antica, caro agli umanisti italiani del XVI secolo. Celebri, inoltre, per i loro cromatismi che ne rendono impossibile un'esatta analisi armonica e/o modale del testo musicale, le Prophetiae risultano sibilline ed enigmatiche quanto i testi che le hanno ispirate.

 

I testi selezionati da Lassus per il ciclo delle Lectiones sono quelli che dal medioevo vengono utilizzati nelle funzioni liturgiche. Delle parole che Giobbe rivolge ai suoi tre amici, ritroviamo in musica unicamente le violente imprecazioni che il profeta rivolge a Dio e mai le parti narrative, le risposte degli amici o quelle divine.

 

Anche nelle Lectiones Lassus privilegia lo stile declamato "à l’antique" e i tratti di quella stessa scrittura enigmatica già descritti per le Sibille che ben si adattano al carattere meditativo e oscuro del testo.

 

Le Prophethiae come le Lectiones possono essere considerate esempi perfetti di quella "musica riservata" che si era soliti destinare ai "connaisseurs".

 

 

 

 

 

Christine Jeanneret, Université de Genève

 

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