CIPRIANO DE RORE (1515 -1565)
Madrigali e Mottetti
L'invenzione della Seconda Prattica
L'impatto che Cipriano de Rore ha avuto sui suoi contemporanei e sulle generazioni successive, oggi non è facilmente immaginabile. De Rore è "il divino Cipriano", un appellativo che traduce chiaramente la stima di cui gode, un tributo che all'epoca non si elargisce con leggerezza.
La sua musica continua ad essere publicata per decenni oltre i confini della sua vita terrena: Phalèse (1573) e Gardano (1595) realizzano l'integrale dei suoi mottetti; una straordinaria edizione di tutti i suoi madrigali a quattro voci vede la luce nel 1577 e nel 1590 ne appare una ristampa. Sfilze di compositori si acclamano suoi discepli e nell'opera di tutti i polifonisti più significativi del XVI sec. (Luca Marenzio, Giaches de Wert, Luzzasco Luzzaschi, Orlando di Lasso, etc.) è facile trovare il suo segno.
Giulio Cesare Monteverdi, nella celebre Dichiaratione scritta contro gli attacchi dell'Artusi, ne fa il primo rinovatore de la seconda prattica e Giovanni de' Bardi, uno degli inventori del dramma fiorentino, ne esalta la capacità di dar voce alla poesia cantata in maniera intelleggibile e chiara. Sarà inoltre il primo ad esplorare le possibilità ritmiche nel moderno madrigale a note nere e ad abbandonare lo stile imitativo dei franco fiamminghi per concentrarsi su una scrittura, più declamata e omofonica, concepita per "dar l'anima alle parole" (Vicentino), esaltare e rivelare l'espressione del testo.
Rore è il padre di quella "generazione di compositori inquieti, malinconici e geniali, i quali, forti di una nuova farmacopea musicale, moltiplicano per dieci le virtù efficaci di tutti gli ingredienti della scrittura musicale: dissonanza, modulazioni devianti, false relazioni, vertigini cromatiche. Tutto è permesso in nome dell'espressione del testo poetico" (B. Boccadoro).
I Mottetti.
Definire la cronologia dei mottetti di Rore non è cosa semplice dal momento che non abbiamo nessuna notizia precisa della vita del compositore anteriore al 1547, data del suo impiego alla corte di Ercole II d'Este a Ferrara. Probabilmente una parte cospicua della produzione in latino di Cipriano vede la luce tra il 1540 e il 1560. Questa, eccezion fatta per la collezione di mottetti che Rore pubblica nel 1545, non si è conservata in un' organizzata serie di pubblicazioni, ma dispersa in numerose antologie. Una parte della sua produzione in latino sopravvive manoscritta e tre importanti codici gli sono interamente dedicati.
Molti dei testi che Rore seleziona sono biblici. Le Sacre Scritture, ricche di episodi drammatici e cruenti si adattano perfettamente alla scrittura "espressionista" di Cipriano. Come per i madrigali, Cipriano anche nei suoi mottetti privilegia l'effettivo a 5 voci, le tessiture gravi, i cromatismi, gli elementi "classici", cioè, di quella malinconia à la mode nel XVI secolo.
I Madrigali.
De Rore ci ha lasciato 107 madrigali, raccolti in sette libri di madrigali che che portano il suo nome. Una parte della sua produzione italiana figura inoltre in numerose antologie dove lo troviamo a fianco dei grandi del suo tempo (Willaert, Lasuus, etc.)
È con il suo Primo libro de' madrigali a 5 voci (Venezia: Girolamo Scotto, 1542) che Rore si aggiudica la palma di "divino" compositore, una pubblicazione dove Cipriano combina quei sonetti petrarcheschi che annunciano il nuovo stile veneziano a madrigali dagli accenti più fiamminghi. Tra questi figura anche Ancor che col partire, la composizione più celebre del '500.
Si è spesso detto che la scrittura di Rore sia stata influenzata da Adrian Willaert. Di fatto, fin dall'inizio Rore prende le distanze dal suo maestro. Cipriano privilegia il madrigale a cinque voci - effettivo originalissimo per l'epoca! - e diverse sono le loro scelte poetiche, come il loro arsenale armonico.
Tra il 1550 e il 1557 Rore pubblica solo il celebre Calami sonum ferentem, una delle sue opere più avanguardiste, e i Vespri, al contrario, più canonici. Dopo il 1557 tutto cambia. Petrarca non figurerà più tra le sue muse, lo stile si fa declamatorio, l'armonia chimerica. Nella sua ultima produzione madrigalistica, Rore crea una scrittura dalle trame trasparenti, un'omofonia flessibile che ci riporta, da una parte, alle monodie di quel mondo antico che rivive nelle fantasie di accademici e umanisti, e, dall'altra, verso il futuro e alla peosia cantata del XVII secolo.
È nata la seconda prattica, quel "nuovo sentire" a cui alludono Giovanni de' Bardi e Giulio Cesare Monteverdi.
Roberto Festa