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IL CANTAR MODERNO

Le nebbie del mistero avvolgono quel lungo periodo della storia della musica italiana, che dall'opera dei madrigalisti trecenteschi si spinge fino all'inizio del XVI secolo. Nei codici musicali quattrocenteschi, sopraffatte numericamente dalle composizioni degli autori franco-fiamminghi, figurano solo poche decine di esempi del repertorio polifonico italiano. Quando nasce quel nuovo atteggiamento dell'uomo, quel diverso sentire che definiamo oggi Rinascimento e le arti tutte vivono un momento di vero splendore, la musica pare uscire di scena per attendere timidamente tempi migliori.  Ci siamo chiesti; cosa si nasconde dietro questa non certo gaia realtà ?  Come si può spiegare l' apparente mancanza di ispirazione dei compositori quattrocenteschi italiani ?

 

La rivoluzione estetica umanista ruota intorno al concetto di imitatio. L'uomo rinascimentale scopre il mondo antico e da questo trae i modelli per la propria ispirazione. Le traduzioni dei classici della filosofia greca forniscono il supporto teorico della sua ricerca.

 

Con il '400 si apre un capitolo nuovo della storia della musica in Italia. Il madrigale e la ballata trecentesca sono sostituiti dallo strambotto, lo stile "moderno" della vocalità profana. Preso a prestito dai cantori popolari che si esibivano nelle piazze e nelle assemblee dei nobili, improvvisando al ritmo delle ottave, lo strambotto traduce a perfezione il desiderio dell'uomo nuovo che cerca nell'arte di rivivere il mito della Grecia antica. Come nella reggia d'Alcinoo, il poeta cantava i suoi versi accompagnandosi ad cytharam, ad violam  o ad lyram  giudato nella sua creazione estemporanea solo dalla sua musa ispiratrice (invocatio musarum). Dei più celebri cantori del tempo, Leonardo Giustiniani, Pietrobono dal Chitarrino, per esempio, non una sola nota ci è giunta; ma grande impressione dovettero suscitare nei loro contemporanei che li definirono nuovi Apolli, aoidoi  di un moderno classicismo. A conclusione della nostra ricerca sul '400 musicale, ci apparve chiaro che la poesia cantata del XV secolo evitò intenzionalmente le limitazioni della notazione e che quel "mondo che appare opaco ai nostri occhi, fu all'epoca pieno di luce, di vita e di suoni; i suoni della musica non scritta" (N. Pirrotta).

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