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LE DUE ANIME DI SALOMONE

Sui fiumi di Babilonia,
Là ci fermammo e piangemmo
Ricordando Sion.
Ai salici che si trovavano in quel paese
Appendemmo le nostre cetre;
Poichè coloro che ci avevano condotto in cattività

Ci chiedevano di cantare,
E coloro che ci avevano dileggiato,
Ci chiedevano canti di gioia:
“Cantateci qualcosa dei canti di Sion”
Come potevamo noi cantare l’inno del Signore
In terra straniera?

Salmo 137

 

 

Sorprendentemente la personalità di Salomone Rossi non è stata fino ad oggi  oggetto di studi sistematici, di progetti discografici specifici, nè, tantomeno, si è dato spazio nei Festivals e nei programmi di concerto ad una produzione musicale che per qualità e varietà avrebbe dovuto attirare la curiosità di molti.

 

Tutto ciò appare ancora più sorprendente dal momento che Salomone Rossi rappresenta un caso unico nella storia della musica. Trovandosi all'incrocio tra cultura cristiana ed ebraica e costituendo uno dei perni fondamentali del passaggio tra prima e seconda prattica, tra polifonia rinascimentale e monodia accompagnata, la sua produzione musicale rivela, senza dubbio, una delle personalità più originali del suo tempo.

 

Se, da una parte, l'inserimento della polifonia nel tentativo di una “riforma” della musica sinagogale testimonia l'impegno innovativo del compositore in seno alla cultura ebraica, dall'altra, non si può dire che uguale energia non sia presente nel campo della musica cristiano occidentale. Se le sue prime opere, le Canzonette e Il primo libro dei madrigali, infatti, ci mostrano un artista ancora calato nel clima e nella cultura del Rinascimento, le Sonate per violino e La Maddalena lo vedono già attivamente impegnato su temi e forme appartenenti al barocco.

 

 

I. Salomone Rossi , Maestro di Concerto alla Corte di Vincenzo I Gonzaga.

Il tentativo di integrare culture diverse, cristiana ed ebraica, domina senza dubbio in tutta la produzione musicale di Salomone Rossi. Se, da un lato, introducendo la polifonia nella musica liturgica della sinagoga di Mantova egli cercò di trasporre gli accenti della musica cristiana nella pratica musicale ebraica, dall'altro, Salomone Rossi compì un'operazione analoga, ma di segno contrario, nel campo della musica nostrana. L'Hebreo, infatti, svolge un ruolo fondamentale nell'“invenzione” del basso continuo e nel passaggio dalla polifonia rinascimentale alla monodia accompagnata seicentesca.

 

Attraverso le pubblicazioni profane di Salomone Rossi possiamo comprendere il passaggio tra due pratiche d'accompagnamento distinte e la coseguente trasformazione dell'ideale sonoro che ci porterà gradualmente verso il periodo barocco.

 

Nel Primo libro de' Madrigali (Venezia, 1596), Salomone Rossi traduce la propria ispirazione in perfetto accordo con i canoni compositivi e le consuetudini rinascimentali. La prima edizione del Primo Libro, non prevedendo alcun tipo d'accompagnamento strumentale, mostra un Rossi ancora sensibile al fascino della polifonia pura dell'ensemble a cappella. Ma già nella sua seconda edizione (Venezia, 1600) appare la dicitura “con alcuni di detti madrigali per cantar nel chitarrone, con la sua intavolatura posta nel soprano”. Risulta evidente che qui ci si trovi di fronte ad un cambiamento assai significativo; all'ensemble delle voci si comincia gradualmente a preferire la formazione più ridotta di voce e chitarrone, ad esaltare, cioè, il ruolo della parte del soprano limitandosi alla riduzione intavolata delle altre parti per l'accompagnamento.

 

Il senso di questo mutamento di rotta risulterà ancora più chiaro con la pubblicazione del Secondo libro de' Madrigali a cinque voci... con l'accompagnamento del basso continuo per sonare in Concerto posto nel soprano. La più antica edizione della seconda silloge madrigalistica del Rossi apparve per i tipi di Ricciardo Amadino a Venezia nel 1602, ma pare sia stata preceduta da un'edizione precedente, oggi perduta, nel 1599. L'introduzione del basso continuo, di un basso cifrato previsto per l'accompagnamento improvvisato delle parti vocali, segna la nascita di una pratica che vedrà il suo apogeo nel periodo barocco e, al tempo stesso, sancisce il trionfo della monodia accompagnata sulla polifonia.

 

Tutte le pubblicazioni dell’Hebreo successive a quelle già citate non fanno altro che confermare le scelte che in queste si erano manifestate. La dicitura “con il basso continuo per sonar il chitarrone o altro istromento da corpo” accompagna l'edizione dei restanti tre libri di madrigali e dei quattro libri di sinfonie, gagliarde e sonate. È indiscusso che le trasformazioni che abbiamo descritto attraverso le pubblicazioni profane di Salomone Rossi facciano parte di un più ampio e generale fenomeno di evoluzione del gusto nell'Italia tardo rinascimentale. Ma non credo sia per caso che ad occupare un ruolo così determinante nell'evoluzione della musica europea dell'epoca sia un musicista ebreo. Il Rossi, infatti, introdusse nella musica cristiano occidentale quel tipo di accompagnamento che in seno alla pratica musicale ebraica costituiva un'antica consuetudine. Non bisogna dimenticare che sul finire del '500 in tutta l'Italia settentrionale e in particolar modo alla corte dei Gonzaga, la comunità ebraica potè accedere senza inibizioni al mondo culturale cristiano e inevitabilmente ne contribuì alla trasformazione.

 

Salomone Rossi rappresenta senza dubbio la più alta espressione musicale del sogno di integrazione che vissero le comunità ebraiche al suo tempo. Nella sua opera traspare l'anelito di un mondo stanco di segregazione che finalmente può aprire le porte del ghetto fiero della propria identità.

 

 

2. Polifonia ebraica alla corte dei Gonzaga

Gli intrecci tra cultura ebraica e cultura cristiana sono sempre stati tanto intensi quanto problematici se non conflittuali. Dai tempi dell'ellenismo sino all'emancipazione e oltre, l'ebraismo è stato attratto irresistibilmente dal miraggio delle altre culture, senza tuttavia rimanerne mai totalmente inglobato. Allo stesso modo, la cultura ebraica non ha mai cessato di esercitare il suo fascino su quella cristiana.

 

Il canto sinagogale, pur essendo all'origine del canto gregoriano, in seguito, ha continuato orgogliosamente sulla propria strada, chiuso nella sua antica tradizione, senza risentire dello sviluppo tumultuoso della musica cristiano occidentale. Ma dopo secoli di apparente insensibilità ai richiami delle sirene del mondo in cui si trovava immersa, la musica ebraica sembrò all'improvviso mutare rotta con il Rinascimento e cedere alle tentazioni e alle lusinghe dell' “altrui canto”.

 

Nella seconda metà del '500 e nei primi anni del '600, infatti, si può osservare un intenso movimento d'interesse ebraico verso la cultura e la prassi musicale cristiana e anche, viceversa, da parte cristiana verso la cultura ebraica. Per quanto riguarda la musica, l'interscambio è stato particolarmente attivo, favorito da una parte dall'interesse del neoplatonismo rinascimentale verso taluni aspetti della cultura ebraica (la kabbalà, per esempio), dall' altra dall'accoglienza favorevole di un vasto numero di musicisti ebrei in alcune delle corti italiane. Tra questi spiccano i madrigalisti David da Civita e Allegro Porto, il napoletano Muzio Effrem (in un primo tempo al servizio di Gesualdo da Venosa, e, in seguito, attivo presso le corti di Mantova e Ferrara), Abramo e Abramino dell'Arpa, ospiti della corte di Guglielmo Gonzaga.

 

Attivo presso il suo successore Vincenzo, patrono di Claudio Monteverdi, troviamo a partire dal 1587 Salomone  ROSSI “Hebreo”. Discendente di un'antica e nobile famiglia giudaica (il suo nome ebraico era Shlomo me Ha-Adummim), violinista e direttore del complesso strumentale di corte, Salomone  Rossi compose un cospicuo numero di opere strumentali, canzonette e madrigali nei quali si  mostra assai sensibile alle sperimentazioni e alle licenze dello “stil moderno”. Con i suoi quattro libri di sinfonie, gagliarde, correnti (1607-1622), egli dà grande impulso allo sviluppo di un idiomatico linguaggio violinistico e alla definizione della moderna sonata a tre.

 

Inoltre, Salomone Rossi fu uno dei protagonisti di quello che potremmo definire come il tentativo di riforma del canto sinagogale ebraico. In quegli anni, infatti, tra i musicisti che operavano presso le corti rinascimentali nacque il desiderio di portare all'interno della sinagoga gli accenti di quella musica che risuonava nel mondo esterno. Il principale propugnatore di questo ideale fu il rabbino Leone da Modena, che nel 1605 introdusse nella sinagoga di Ferrara un coro di sei o otto voci, organizzato secondo le regole della “scienza musicale” e della moderna armonia.

 

In linea con l'operato di Leone da Modena, Salomone Rossi pubblicò nel 1622 una silloge di 33 brani (salmi, cantici ed inni) destinati alla liturgia della sinagoga di Mantova. Con il titolo di Ha-Shirim asher li-Shlomo  (I Canti di Salomone) Rossi presentava l'opera con la quale intendeva contribuire alla modernizzazione del canto sinagogale. L'antologia dell'Hebreo conteneva brani da tre a otto voci dove rusulta chiaro l'intento del compositore di assecondare la superiorità gerarchica della parola ricorrendo alla recitazione sillabica, alla verticalità accordale e alla declamazione chiara ed incisiva del testo.

 

L'ardito esperimento di questo gruppo di compositori suscitò perplessità e polemiche nelle comunità ebraiche dell'epoca. Gli echi di queste diatribe sono ancora presenti nella prefazione scritta dallo stesso Rossi all'edizione dei suoi canti, ma già nel 1605 Leone da Modena aveva dovuto difendere le proprie tesi con la pubblicazione dei Responsum. Le obbiezioni sollevate dai censori della “riforma” possono così brevemente riassumersi :

• il canto sinagogale non deve essere tale da diventare di appannaggio di professionisti, ma rimanere patrimonio vivo della collettività;

• il canto polifonico per sua natura è difficile da eseguirsi ed esige un'esperienza musicale specifica;

• Il canto polifonico implica la ripetizione di parole o frasi, nell'intreccio delle varie voci, e perciò altera la lineare recitazione della preghiera.

 

Non è difficile intuire che alla base della polemica esistono problematiche tutt'altro che semplici e non necessariamente connesse ad uno specifico musicale. La musica nel mondo cristiano, infatti, è sempre stata concepita in una dimensione prevalentemente edonistica: nel canto liturgico la musica era un ornamento, forse inessenziale, a volte utile a scopo pedagogico, a volte condannabile se tendeva a esorbitare dai suoi confini per diventare elemento predominante: comunque sempre piacere sensibile all'orecchio, lusinga dei sensi, priva di qualsiasi valore di sacralità, strumento del demonio, nei casi peggiori; invito alla preghiera, nei casi migliori. Nella tradizione ebraica, invece, il canto è stato sempre parte integrante della preghiera. Dicevano i maestri del Talmud che la Tora se non cantata non è Torà, e un antico midrash racconta che Dio così dicesse: “Se non ci fosse stato questo canto non avrei creato il mondo; Io do voce a tutte le Creature perchè mi lodino sempre; se mancassero i canti non avrei creato il mondo”. Si potrebbero moltiplicare a volontà le citazioni non solo del Talmud, ma di tutta la letteratura ebraica posteriore, per dimostrare che il canto nell'ebraismo è sempre stato concepito come elemento connaturato alla parola stessa, dotato della medesima sacralità, unico modo appropriato di pronunciare correttamente il testo sacro nella comunità ebraica.

 

La complessità del problema doveva risultare evidente a Salomone Rossi quando pubblicò i suoi Canti. Infatti, essi risultano assai più semplici e trasparenti dal punto di vista dell'intreccio polifonico delle voci, rispetto alle sue composizioni profane, perfettamente allineate allo stile madrigalistico del tardo Rinascimento. Nel tentativo di semplificare i nuovi canti e di renderne comprensibile il testo, Rossi cercò di evitare per quanto potè ripetizioni di parole e di frasi.

 

Nonostante ogni suo sforzo, tuttavia, il sogno della riforma del canto sinagogale urtava contro abitudini consolidate, la cui rottura implicava necessariamente modifiche di rilievo nella concezione stessa dell'ebraismo. Infatti, i Canti, per semplici che fossero, erano pur sempre in stile polifonico e venivano di conseguenza sottratti alla comunità per essere affidati a specialisti o in ogni caso a esecutori professionisti. Inoltre, la recitazione intonata della preghiera veniva profondamente alterata e il canto risultava scisso dall'andamento della frase, dal suo significato, che nel canto monodico tradizionale era tutt'uno con la frase musicale. Infine, nel tentativo di conservare le melodie tradizionali, il compositore si vide obbligato ad adattarle alla modalità e alle regole del contrappunto moderno, a realizzare, cioè, quelle modificazioni che rendessero gli antichi canti monodici armonizzabili secondo le regole della musica cristiana.

 

Il sogno d'integrazione che entusiasmò i musici ebrei attivi nelle corti dell'Italia settentrionale fu bruscamente interrotto dall'invasione delle truppe di Ferdinando II d'Austria e da un'epidemia di peste che mise a dura prova il ducato di Mantova nel 1628. Più di duemila ebrei furono allontanati dalla città e ai suoni dell' “ars‑nova” di Salomone Rossi non fu più permesso di riecheggiare tra le mura della sinagoga di Mantova.

 

 

 

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