MUSA LATINA
Nec vivere carmina possunt
quae scribuntur aquae potoribus
Horace, Epistulae 1.19:2-3
Il Rinascimento celebra i fasti d'un passato mitico e glorioso, onirico e magico. L’entusiasmo per l‘antichità e per il suo tesoro di saggezza è il motore della rivoluzione umanista. Università e accademie diffondono un sapere che forgia le sue idee e affonda le sue radici nell’ aurea aetate greca e latina. Il tempo conferisce autoritas all’eredità dell’antichità, avvolgendola di un’aureola di “santità”. I testi della tradizione antica – i filosofi greci, i retori, gli storici, i poeti latini, i Padri della Chiesa – vengono letti, studiati e tradotti dall’originale, evitando le loro fallaci versioni latine.
Quanto alla musica, l’umanista cerca una risposta ad una questione per lui vitale : come ritrovare, come ricongiungersi e ridar vita alle potenze magiche di quest’arte? La Musica agisce, modula e trasforma le nostre passioni. Può calmare la furia distruttrice come condurci all’estasi e alla follia; può guarire, esaltarci o farci sprofondare nella più profonda malinconia. Perchè? L’umanista cerca le sue risposte in due diverse direzioni. Da una parte, esplora l’universo che musica e medicina condividono dalla loro comune infanzia pitagorica e che si formalizza nella Teoria degli Affetti. In questo contesto, melodia e affetto sono una sola e unica realtà. I nostri stati d’animo, le passioni che la musica scatena nella nostra immaginazione, sono una “reazione meccanica” al suo incedere (lento o rapido), al suo registro (grave o acuto), agli intervalli ( consonanti o dissonanti) e al modo. Dall’altra, è la poesia nella sua essenza quantitativa il secondo asse dell’indagine umanistica ; il suo ritmo, la scansione metrica sono per l’umanista veicoli magici altrettanto efficaci. Come la melodia, l’ethos di un ritmo, il suo carattere, agisce sull’anima e ne determina le passioni ; come la melodia, il ritmo può piegare ragione e volontà. Il desiderio di ritrovare l’anima primitiva della poesia si traduce nell’invenzione della Musica more antiquo mensurata e dell’Ode Latina. Questo repertorio è sorprendentemente sfuggito all’indagine di musicologi e interpreti. Pertanto la “musique mesurée à l’antique” offre una soluzione originalissima al problema della relazione tra parola e suono, basata unicamente su regole d’ordine quantitativo, sull’alternanza, cioè, di note lunghe e note brevi ad imitazione dei piedi della versificazione.
I diversi registri letterari della poesia Latina generano una costellazione di forme e stili nati tutti nel segno della scansione metrica, che si tratti di madrigali o di mottetti, generi nobili della vis tragica, o di odi oraziane e di frottole, generi questi che parlano il sermo humilis della vis comica. La polifonia latina è compatta, massiccia e canta lo stesso unisono che intona il coro della tragedia greca tra i marmi dei teatri dell’Ellade: una verticalità concepita per scolpire la poesia nel suono, trasformarla in una massa e in un’energia quasi tangibili.
L'adattamento delle regole delle musica metrica alle lingue vernacolari è una tentazione alla quale l'umanista non sa resistere. "O sonno" (Cipriano de Rore), "Solo e pensoso (Nicola Vicentino), come le Airs di Claude Le Jeune sono gli emblemi più celebri del desiderio umanista di rianimare il dialogo tra antichità e presente.
Anche il repertorio liturgico si presta alla sperimentazione metrica umanistica. Les Psaumes mesurés à l'antique dei compositori de l'Académie de musique et de poésie, spesso citati come i più antichi esempi del repertorio religioso composti nello stilo antiquo, sono le opere più conosciute di questa corrente. Ma Petrus Tritonius traduce già il desiderio di coniugare l'universo pagano di Orazio con la cristianità nelle sue Meliopoiae (1507), offrendoci una lista di testi luturgici adattabili alle melodie delle 22 opere presentate nella sua collezione.
Conviene attardarsi sulla figura di Petrus Tritonius, compositore e umanista austriaco (Bozen, Alto Adige), capostipite di una ricca serie di antologie oraziane.
Emblematico paladino di questa nuova primavera della latinità in Germania, Chunradi Celtis, primo poeta coronato tedesco, dedicò ogni sua energia al tentativo di far riavvicinare le giovani generazioni di studenti ai testi dei poeti della Roma antica ed in particolare ad Orazio, suo prediletto :
Conspicite haec, iuvenes Germani, carmina quatuorVocibus ut vates et sacra templa canunt
Dall’incontro con il giovane compositore atesino Tritonius, vir sine omni ostentatione doctus e suo scolaro all’ateneo di Ingolstadt, nasce per i tipi di Erhard Oeglin, la prima raccolta musicale completamante dedicata all’ode oraziana. Il lungissimo titolo dell’opera, organizzato nella forma di un calice bacchico (Crater Bachi), traduce perfettamente le intenzioni dei suoi artefici, così come ci permette di immaginare senza sforzo l’ambiente accademico che ne determinò la stesura :
MELOPOIAE SIVE HARMONIAE TETRACENTIAE
super XXII genera carminum Heroicorum Elegiacorum Lyri-
corum et ecclesiasticorum hymnoirum per Petrum
Tritonium et alios doctos sodalitatis Lit-
terariae nostrae musicos secundum natu-
ras et tempora syllabarum et pe-
dum compositae et regu-
latae ductu Chunradi
Celtis foeliciter
impressae.
Carminum dulces resonemus odas :
Crater Concinant laeti pueri tenores Bachi
Et graves fauces cythara sonante
Temperet alter.
Optime
Musiphile, stro-
phos id est repeticio-
nes carminum, collisiones syl-
labarum, coniuctiones et connu-
bia pedum pro affectu animi motu
et gestu corporis diligenter observa.
I 22 canti a quattro voci (tetracentiae) che troviamo riuniti in questa antologia, sono composti nel rispetto assoluto della prosodia dei testi intonati (secundum naturam et tempora syllabarum et pedum). La supervisione del Celtis, elegantissime poete, garantisce il prestigio e l’attendibilità delle ricerche del Tritonius e dei dotti della società letteraria di Ingolstadt (Tritonium et alios doctos sodalitatis Litterariae nostrae).
La parte centrale del calice ed il frontespizio delle Melopoiae riportano informazioni preziose sull’esecuzione del repertorio oraziano. Ai tenores è affidata la voce più importante della composizione, sostenuti dall’accompagnamento di bassi, cetra, flauti e liuti.
Fistula dum vestris inflatur concava buccis,
Et testudo loquax pollice pulsa sonat,
Constrepit et vario concentu stridula arundo.
La parte inferiore del calice, infine, ci avverte che il musiphilus, l’esecutore, deve operare nel rispetto dei valori melici della parola e del ritmo secondo l’affetto dell’animo e il movimento del corpo.
Il grande successo di questo primo trattato di Ars metrico-musicale è confermato dalle sue numerose ristampe purgate degli errori e delle imprecisioni contenute nell’edizione dell’Oeglin (sive vitio exemplaris seu alia quadam incuria depravata).
Alle Melopoiae, inoltre, si ispirarono tutta una serie di antologie musicali latine pro exercenda iuventute literaria. Ludwig Senfl pubblicò nel 1534 una raccolta di Varia carmina genera, seguita nel 1539 dalle Harmoniae poeticae di Paulus Hofhaimer e Bartolomeo Ducis, dalle Odae cum harmoniis di Giovanni Honterus e dalle Geminae undeviginti odarum Horatii rispettivamente nel 1548 e 1552.
Con questo repertorio si voleva, da una parte, nutrire l’illusione di ricondurre la lirica classica alla sua originaria natura e, dall’altra, l’organizzazione musicale dell’ode latina veniva considerata come un efficace metodo per l’apprendimento delle strutture prosodiche. Di conseguenza, non può che meravigliarci l’elaborazione polifonica dei versi oraziani, considerando che già allora si era perfettamente coscienti che il canto della Roma imperiale fosse monodico.
Non est dubium quin ... una voce quam pluribus canere sit multo antiquius.
Ma non dobbiamo dimenticare che la musica a quattro voci veniva considerata dai teorici “perfetta”, essendo questa la fusione dei quattro elementi della natura (Fuoco, Aria, Acqua e Terra) e dei quattro umori (Collerico, Sanguigno, Flegmatico e Malinconico). Nel Folengo troviamo l’esatta definizione del ruolo delle quattro voci :
Plus ascoltandum sopranus captat orecchias ;
Sed Tenor est vocum rector, vel guida canentum.
Altus apollineum carmen dipingit et ornat.
Bassus alit voces, ingrassat, fundat et auget.
Ma Loritus Glareanus, primo a scagliarsi al centro di una polemica che soltanto verso la fine del XVI sec., con Doni, Galilei e Bottrigari troverà una sua soluzione, e in netta contrapposizione con le tendenze della sua epoca, non pare avere dubbi sulla supremazia del musico phonascus (monodico) sul symphoneta, che ad repertum tenorem addat treis plureisque voces”.
I symphoneti germanici, che hac tempestate in Horatii odas dedere quattuor vocum carmina, inoltre, secondo il teorico svizzero, non rispettano neppure l’ethos dei modi, la loro capacità, cioé, di modulare le passioni dell’uditore. È evidente, però, che gli umanisti tedeschi non si siano interessati ai problemi sollevati dal Glareanus, completamente assorbiti dall’aspetto metrico-ritmico dell’ode latina. In effetti, i piedi della poesia classica non si adattavano necessariamente alla misura musicale e la loro esecuzione poneva e pone tutt’ora non pochi problemi.
Questa di fatto è una controversia assai antica, che già divise i poeti rhytmici e poeti metrici dell'Ellade. Se, da una parte la scuola aristossenica o dei rhytmici ammetteva la possibilità di allungare o accorciare le sillabe, d’introdurre pause, facendo così quadrare i piedi della poesia con la misura musicale, per la scuola alessandrina o dei metrici, la poesia si limitava ad essere pura creazione letteraria, fondata su rigidi schemi quantitativi. Se agli alessandrini dovettero ispirarsi i compositori tedeschi che per le loro musiche adottarono esclusivamente due sole figurae ritmiche (la brevis e la semibrevis) atte a rappresentare l’alternanza degli accenti della poesia lunghi e brevi, ai poeti ritmici si ricollegano le composizioni dei musicisti attivi in Italia. Orazio, al sud, non incontra il favore accordatogli oltr’Alpe. Virgilio e in particolar modo lo sventurato amore di Didone si adattavano meglio al temperamento e al gusto “tragico” di moda nella penisola. Le composizioni di Jacob Arcadelt, Cipriano de Rore e Stefano Rossetti, solo per citarne alcune, se conservano l’omoritmia già riscontrata presso gli autori germanici, si distaccano da queste per il loro stile inequivocabilmente madrigalistico. Il dramma della Didone abbandonata costituisce ovviamente un terreno fertile per ogni bizzarria armonica e per qualsivoglia genere di artificio ed effetto.
A questi due gruppi di composizioni ispirate alla latinità, ne possiamo aggiungere un terzo, costituito dalle innumerevoli versioni franco-fiamminghe del celebre Dulces exuvie di Virgilio (Eneide IV, 651-654). Si tratta certamente del più antico nucleo di pezzi legati alla melica latina, generalmente realizzate nello stile del lamento o del mottetto.