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IL MITO DI ROMA

 

Le migrazioni di artisti ed artigiani non sono certo un'invenzione rinascimentale. Già nell'alto medioevo questi sono soliti vagare di città in città o da un paese all'altro per poter perfezionare la loro arte. Alcune categorie sociali, i mestieri legati alla costruzione per esempio, migrano periodicamente verso sud, là dove un clima più clemente permette loro di  garantirsi sussistenza e lavoro. Quanto ai maestri medievali, gli artisti famosi,  abbandonano le loro dimore principalmente per realizzare commesse prestigiose. È il caso di Guilielmo di Sens, architetto della cattedrale di Canterbury, o di Heinrich Parler chiamato in Italia per portare a termine la costruzione del duomo di Milano.

 

Tra ‘300 e ‘400, politica e guerre alterano questo « nomadismo spontaneo Â». L’Europa centrale è un immenso campo di battaglia. Sangue e miseria spingono così vere folle di emigranti verso l’Italia. Migliaia di fiammingi, brabantini, tedeschi e austriaci « invadono Â» il Belpaese e alla fine del '400 i pellicciai, i conciatori, i calzolai, i sellai, i tappezzieri, i ricamatori e gli osti stranieri superano numericamente i loro omologhi italiani.

 

Poi viene il tempo della « rivoluzione humanista Â», una rivoluzione tutta sui generis che cerca radici, senso e ragioni non nel nuovo, ma nell’antico. Nel vento del passato risuona ancora l’eco di un vecchio detto latino : tutte le strade portano a Roma ! Roma la città eterna, la culla della civiltà; Roma la città dei papi e della chiesa; Roma nuovo Parnaso della poesia e tempio di antica saggezza; Roma crocevia di storia e destini.

 

Con l’umanesimo nasce il mito di Roma, una città che eserciterà per più di due secoli un irresistibile magnetismo sugli artisti dell’Europa intera. È una nuova forma di migrazione quella a cui assistiamo, generata unicamente dal potere magnetico di un mito.

Già Dante, Cola di Rienzo e Petrarca - in pieno medioevo - non erano stati indenni all’incantesimo di Roma. Se il primo nel suo De Monarchia spera trovare in lei la nutrice della rinascita del’unico Impero Universale, il secondo crede poter giovare al ripristino delle antiche glorie romane con un atto di magia assimilativa : la raccolta e l’interpretazione delle iscrizioni latine. La rinascita della Caput Mundi però è nel loro caso un’esigenza politica.

Per Petrarca sarà diverso. Il suo è un amore irrazionale, una tensione emotiva.

 

… posso appena scrivere, sopraffatto dal miracolo di tanta grandezza e di tante sorprese … Voi ricordo eravate contrario a che io visitassi Roma avvertendomi che la vista della città in rovina avrebbe troppo contrastato con ciò che io avevo udito e letto su di essa … Ma questa volta, o meraviglia, la realtà ha superato ogni cosa. Roma è più grande di quel che avessi pensato, e più grandi sono anche le sue rovine ; e più non mi stupisce che questa città abbia conquistato il mondo.

 

È di 5 anni più tardi un appello a Clemente VII. Petrarca implora il ritorno del papa, stabilitosi ad Avignon. Roma stessa prende la parola:

 

… I miei grandi templi vacillano sotto il peso dei secoli, i castelli tremano sotto le mura cadenti ; e presto andranno a terra, se nessuno viene a restaurarli … Eppure la mia Maestà vive, trionfante, tra le sparse macerie di tutte queste rovine.

 

Ci vorranno più di due generazioni prima che pittori, musici e scultori comincino a vedere Roma con gli occhi del Petrarca ; ma poi è come il precipitare di una valanga e il « pellegrinaggio romano Â» diviene un attributo indispensabile della loro formazione artistica.

 

Né i pittori e gli scultori né gli architetti possono produrre opere di molto pregio se non fanno un viaggio a Roma (Francisco de Hollanda).

 

Due celebri nomi dell’arte italiana quattrocentesca inaugurano la tradizione del tour romano : Brunelleschi e Donatello. Racconta il Vasari  che Brunelleschi

 

… vedendo la magnificenza degli edifizi, e la perfezione de’ corpi de tempj, stava astratto, che pareva fuori di sé.

 

Sopraffatto dalla ricchezza artistica della città, Brunelleschi

 

non si curava di mangiare o dormire : solo intento suo era l’architettura, che già era spenta.

 

Seguito da Donatello, spendeva il suo tempo in misure, disegni, scavi. Un’attività forsennata che incuriosisce e sorprende i romani che

 

gli chiamavano quelli del tesoro ; credendo il popolo, che fussino persone che attendessino alla geomanzia per ritrovare tesori.

 

Un’estasi analoga anima Leon Battista Alberti.

Restavanci gli esempi delle cose antiche ancora ne’ tempii e ne teatri, dalle quali si potevano imparare molte cose, ma io le vedevo non senza mie lacrime consumarsi di giorno in giorno. … Andava adunque investigando, considerando, misurando, e disegnando con pittura ogni cosa …  fino a tanto che io avessi conosciuto intieramente e posseduto tutto quello che da qualunque ingegno o arte in si fatti edifizii fusse stato messo in opera.

 

Proporzionale al fascino che Roma esercita sulla comunità degli artisti, è il timore. Il bisogno, la smania ossessiva che pare possedere ogni artista talentuoso del tempo, la rende irraggiungibile. Il viaggio alla volta di Roma è psicologicamente impervio e complesso. È un percorso iniziatico, ricco di trappole e ostacoli.

Nicolas Poussin oltrepassa le Alpi carico di speranze, ma giunto in Toscana inspiegabilmente fa ritorno a Parigi. Assalito nuovamente dal male antico si trasferisce a Lione che

 

come una catena tiene inceppata la sua libertà.

 

È nuovamente determinato a partire, ma ancora una volta desiste e da Lione fa ritorno a Parigi. Qui incontra Giovan Battista Marino che, come un Virgilio dantesco, gli apre il cammino verso la città eterna. Poussin era venuto per rimanere. Forse egli aveva esitato tanto a lungo perchè sentiva che il viaggio a Roma sarebbe stato un passo irrevocabile. In seguito, infatti, da Roma Poussin si allontana in un’unica occasione allorchè è invitato a Parigi per decorare la Grande Galerie del Louvre. Giunto in Francia però la nostalgia non tarda a cantare il suo malinconico lamento :

 

Giuro che s’io stessi molto tempo in questo paese bisognerebbe ch’io diventassi uno strapazzone come gli altri che ci sono. Li studi e le buone osservazioni, o dell’antichità o dell’altro, non vi sono conosciuti in verun modo.

 

Il fascino di Roma fa di Poussin un esule a vita.

 

Jacques Callot, celebre incisore suo coetaneo, figlio di una facoltosa famiglia di Nancy, fugge di casa a 12 anni e raggiunge Firenze al seguito di una compagnia di zingari che praticavano l’accattonaggio. Prosegue da solo per Roma, dove fu scoperto e riportato in patria. Scappa una seconda volta e per una seconda volta è intercettato dalla famiglia a Torino. Giunge infine a Roma nel 1607, tre anni dopo il suo primo tentativo.

 

Le prove e le traversie per raggiungere Roma fanno salire un’artista nella stima del pubblico. Più rocambolesca è l’avventura per raggiungerla, più meritata è la meta. L’erranza dell’artista è allo stesso tempo percorso iniziatico e omaggio alle grandezza, alla gloria e alla maestà della città eterna.

 

 

 

Roberto Festa

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