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L’ Orfeo, favola in musica

Favola in musica di Claudio Monteverdi rappresentata a Mantova l'anno 1607.

 



Solisti

Orfeo - Dan DUNKELBLUM. Tenore
La Musica - Florence GRASSET, Soprano
La Messaggera - Dina KÖNIG, Alto
Caronte, -Jonas JUD, Basso
Euridice - Elisa FAVRE, Soprano
Proserpina - Claire MICHEL DE HAAS, Soprano
Plutone - Daniel BACSINSZKY, Basso
Apollo - Sebastian LEÓN, Tenore
Pastore - Benjamin INGRAO, Tenore
Pastore, Eco - Samuel MORENO, Contro-tenore
Samuel MORENO, o
Ninfa - Sylviane BOURBAN, soprano

 


Daedalus Ensemble

Veronika Skuplik, violino
Franciska Hajdu, violino
Giovanna Baviera, viola da gamba
Brigitte Gasser, viola da gamba, lirone
Tore Eketorp, viola da gamba, violone

Margherita Degli Esposti, flauto
Doron David Sherwin, cornetto
Josué Meléndez Peláez, cornetto, flauto
Stefan Muller, trombone
Abel Rohrbach, trombone
Daniel  Savoyud, trombone

Hugh Sandilands, tiorba, chiatarra
Julian Behr, tiorba
Masako Art Fujimura, arpa tripla
Daniela Numico, clavicembalo, organo, regale
Fabio Tricomi, percussioni

 

 

Ensemble vocale Ostinato

Coro del Conservatorio di Sion, Jean-Luc Follonier, direzione


Roberto Festa, direzione
Olivia Seigne, regia



Collaboratori

Luci, José Manuel RUIZ
Scenografia, Aurélien CIBRARIO
cezione video, Camille COTTAGNOUD
Costumi, Agnès BOUDRY
Film, Tristan AYMON
Pittrice, Aline SEIGNE
Assistente alla regia, Thomas DEFAGO
Responsabile di scena, Carmen BENDER
Comunicazione, Olivier MEICHTRY
Coiffures e trucco, En distribution
Amministrazione, Pierre GILLIOZ


Rappresentazioni

2 - 3 - 4 settembre 2016
9 - 10 - 11 settembre 2016
16 - 17 - 18 settembre 2016
23 - 24 - 25 settembre 2016
(venerdi, sabato: 19.30 / domenica: 17.00)



Luogo

Centre culturel de la Ferme-Asile, Sion (CH)

 

 


Ouverture-Opéra e le scuole del Vallese

Dall'inizio della sua attività, l' Associazione Ouverture-Opéra collabora con le scuole del vallese, facendo così scoprire a più di 2000 giovani la magia del mondo dell'Opera.

 

 

 

 

Monteverdi e l’invenzione del teatro in musica

Specialisti e amanti del bel canto s'accordano nel far nascere l'opera nel 1600, data in cui fu rappresentata l'Euridice di Jacopo Peri.

 

Nasce a Firenze sul finire del XVI secolo la celebre «Camerata de' Bardi», elite di colti nobili che sostengono le sperimentazioni di un ancora più erudito cerchio di compositori - Vincenzo Galilei, Emilio de' Cavalieri, Giulio Caccini e Jacopo Peri - che riunivano ogni loro energia allo scopo di rianimare il mitico potere magico della musica e i fasti della tragedia greca.

 

Nell' approccio interpretativo al repertorio monodico del barocco nascente, il problema non è, come spesso si è detto, quello di portare particolare attenzione alla declamazione del testo - questo è dovere di ogni buon cantante e in ogni repertorio - ma piuttosto, dare vita con il suono all'emozione che la parola dissimula e nasconde. Non bisogna mai dimenticare, che la musica è un veicolo più efficace della parola nel rivelarne gli affetti. Se quest' ultima implica l'intervento della ratio, infatti, il suono si indirizza direttamente alle «qualità inferiori dell'anima», modulando a suo piacere i nostri stati d'animo. Solo la musica può «dar l'anima alle parole» (Vicentino)!

 

Il trionfo della monodia nel '600, inoltre, non implica, come spesso si sostiene, il tramonto della polifonia. L'enorme produzione madrigalesca dello stesso Monteverdi ne è una prova. Nella realtà, la teoria musicale non cambia: polifonia e monodia rispettano medesime regole. Se il XVI secolo è polifonico, è sempolicemente perché la filosofia dominante nel '500 è neoplatonica e vede nelle quattro voci del contrappunto (canto, alto, tenore e basso) un unico corpo sonoro, un’unica voce. Ma il neoplatonismo, come ogni filosofia ed ogni moda, declina. Tra gli umanisti seicenteschi si fa largo la necessità di un ritorno sempre più «filologico» al teatro greco e la musica greca era monodica. La monodia aderisce più efficacemente al loro bisogno di «mimesi», di «riprodurre, figurarsi ed immaginare la realtà» (Aristotele). Nella tradizione greca, la scena teatrale è uno dei « luoghi della conoscenza di sé ».

 

« Il teatro eredita questo ideale dalle religioni, dalla magia e dallo sciamanesimo nei quali affonda le proprie origini fin dalla notte dei tempi. L'umanità, già dalla culla, avverte l’urgenza di creare un « meccanismo » capace di distoglierla dalla tragica realtà dell' esistenza.

 

Tornano in mente le parole di Davus (Andria, Terenzio):

 

Tu non puoi restare un'ora con te stesso; inganna la tua inquietudine, poiché l'oscurità ti accompagna, ti spinge e ti insegue nella tua fuga.

 

Lo spirito umano non ha scelta e, ultima spiaggia per la propria sopravvivenza, è il dissociarsi dal proprio corpo ed incarnarsi in un suo «doppio psichico» che, come uno specchio, gli consenta di osservarsi e divenire spettatore della propria vita. È a questo impellente bisogno di sdoppiarsi che dobbiamo l'invenzione della scena. » (1)

 

Il teatro è catarsi, esorcismo. La tragedia, suggeriva Aristotele, «imita l'uomo e ne purga le emozioni». La scena, infatti, ci porta inevitabilmente all'indagine socratica, incarnando lo pscicodramma umano nell'azione parlata, nel suo rivestimento sonoro, nel gesto, nella danza.

 

« In quest'ottica, come nel caso di molti simboli e proiezioni collettive, il Teatro in Musica va considerato come uno dei vettori più efficaci dell'autocomprensione e offre ai più lucidi uno specchio della umana natura. » (1)

 

 

 

 

Roberto Festa

(1) Brenno Boccadoro, Università di Ginevra

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